Decalogo: la verità creaturale dei propri limiti
Il momento cruciale dell’inizio della storia d’Israele è costituito dalla sua liberazione dalla schiavitù dell’Egitto: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù» (Es 20, 2). Con queste parole si manifesta Dio, intervenendo a favore del suo popolo. Liberando il popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto, YHWH si è legato a un impegno salvifico e il popolo ha reagito con le dieci grandi risposte del Decalogo. Quanti sono stati liberati, sono chiamati a vivere insieme, in libertà, davanti a Dio. Le condizioni per permanere nello stato di libertà sono la fedeltà a Dio come unico Signore e la solidarietà con gli altri membri dell’alleanza in un rapporto di amore reciproco. La risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio si esprime mediante il comportamento retto, in una logica di fede.
I comandamenti del Decalogo non cancellano la nostra libertà, anzi la esaltano, ponendola al centro delle decisioni personali. A uno sguardo superficiale, i precetti potrebbero apparire come dei divieti che limitano la nostra libertà. In realtà non è così: avvertire infatti che una strada non è da prendere, lascia tutta la libertà di scegliere molte alternative a proprio piacimento. Se io invece ti dico: “Prendi questa strada”, te ne indico una e tu devi seguire solo quella. È quindi solo un’impressione che il comando negativo sia oppressivo, in realtà è liberante.
Nell’Eden, Dio piantò un giardino, vi mise l’uomo dicendogli: ecco, è tutto a tua disposizione, puoi mangiare di ogni albero del giardino, ma ce n’è uno che è velenoso (Gen 2, 16-17: 3, 4-5). Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare perché esso (vale a dire il suo frutto) ti farà morire. Puoi mangiare tranquillamente tutto il resto, compreso l’albero della vita, per vivere sempre. È un’indicazione importante per dire “non voglio che tu muoia, mi sta a cuore la tua vita”. È un’informazione utilissima aver presente ciò che danneggia, che fa male; poi ti rimane la scelta del resto del giardino che è fatto tutto per te.
Il divieto è un limite creaturale. Proprio perché siamo creature, noi abbiamo dei limiti ed è giusto riconoscerli. Adamo non ha accettato il limite, ha voluto mettere le mani su quel frutto proibito, ha voluto essere lui l’arbitro del bene e del male, il padrone della vita e della morte. Mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male vuol dire pretendere di stabilire noi cosa è bene e cosa è male. L’immagine del frutto proibito è il limite che l’uomo non accetta e che nella sua superbia pretende di superare, ma in questa pretesa si rovina perché, mangiando del frutto nocivo, avvelena tutta la propria vita. Pretendendo di essere l’arbitro di ogni cosa, l’uomo si rovina e da questa diffidenza nei confronti di Dio nasce ogni altro peccato.
La vicenda storica della liberazione dalla schiavitù è stata un segnale dato da Dio a Israele per fargli comprendere che non potrà trovare né libertà né vita se non vicino a Lui. Quest’atto liberatorio fonda l’autorità di Dio e l’obbedienza di Israele: Dio può comandare perché ha liberato con amore, Israele deve obbedire perché è stato liberato. Il compromesso richiesto non è né arbitrario, né casuale. Dovrà essere il frutto di una decisione libera, meditata, motivata dal ricordo delle grandi opere di Dio.
p. Gabriel Witaszek, CSsR
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