Speranza, il dono e l’appello più grande

Speranza, il dono e l’appello più grande

Il nostro mondo insanguinato dalle guerre, confrontato con gravi problemi da affrontare – come il cambiamento climatico o l’escalation nucleare –, riempito di paure dopo la pandemia del Covid-19 ha tanto bisogno di una rigenerazione della speranza, che permetterebbe di guardare serenamente al futuro. Gli uomini vanno infatti là dove si respira aria di speranza e fuggono da dove non ne avvertono la presenza. La speranza «dà il coraggio ai giovani di formarsi una famiglia o di seguire una vocazione religiosa e sacerdotale, li tiene lontani dalla droga e da altri simili cedimenti alla disperazione. […] La speranza non è più da difendere e giustificare “filosoficamente e teologicamente”, ma da annunciare, da mostrare e donare “a un mondo che ne ha perso il senso”»[1].

1. Speranza – il dono più grande

Il primo capitolo della Lettera ai Colossesi è il ringraziamento e la preghiera che l’Apostolo rivolge a Dio. Questo ringraziamento a Dio Padre e la preghiera dell’Apostolo hanno come oggetto due realtà: (1.) da una parte «la fede in Gesù Cristo» dei fratelli, abitanti della città di Colossi e (2.) dall’altra il loro «amore verso i tutti i santi» (v. 4). Conviene ricordare che quando Paolo usa il termine «santi» parlando dei fratelli, ha nella mente il popolo che Dio si è scelto in Gesù Cristo, e che gli appartiene. In poche parole, il titolo «santi» in questa lettera denota i credenti in Cristo, indica i cristiani.

Interessante è constatare che Paolo non ringrazia qui i credenti di Colossi per l’amore verso tutti gli uomini, inclusi i nemici. No, l’apostolo si limita a parlare “dell’amore fraterno”, della carità che dovrebbe essere all’interno della Chiesa. In questo modo egli mette in risalto la testimonianza della comunità cristiana che si manifesta nel mondo, ed è tangibile per gli altri appunto nella fede e nella carità tra i discepoli del Cristo.

L’Apostolo dice anche che il motivo della fede e dell’amore dei Colossesi è «la speranza riservata nei cieli» (v. 5). Paolo parlando qui della «speranza riservata nei celi» usa il termine greco preciso «tēn elpida tēn apokeimenēn», «bene sperato nei cieli». E veniamo a sapere, che proprio questo «bene sperato nei cieli» motiva, spinge la comunità alla fede e all’amore operoso verso i fratelli. Per questo mi pongo la domanda: Qual è dunque «questo bene sperato» riservato nei cieli per i discepoli di Cristo che amano i fratelli? Una risposta chiara e diretta la troviamo nella stessa Lettera ai Colossesi 4,1 dove l’Apostolo afferma «avete un Kyrios nel cielo». La speranza di cui scrive qui Paolo (Col 1,23), la speranza che motiva, spinge all’amore operoso verso i fratelli è quindi Kyrios, cioè Cristo glorioso, il quale siede alla destra di Dio e si manifesterà nel futuro ai credenti associandoli alla sua gloria (Col 3,1-3)[2].

Occorre notare quindi che la virtù della speranza non deve essere mai confusa con un semplice ottimismo umano. Perché per un cristiano, la speranza è “un dono” che proviene da Dio, la speranza è Gesù stesso. «La speranza si è incarnata. […] Ne consegue che la speranza non è soltanto un insegnamento o un catalogo di cose da osservare, ma è Cristo in persona»[3]. «Se speranza è il Cristo stesso, allora SPERARE può consistere solo nell’abbondonarsi a lui»[4] – afferma Papa Benedetto XVI nella enciclica Spe salvi con la quale «ripropone la profezia della speranza» «in un tempo difficile, sfibrato e triste»[5].

2. Speranza – l’appello più grande

Un giovane intendeva convertirsi al cristianesimo[6]. Chiese al rabbino: «Il Messia è già venuto?». Il rabbino non si scompose. Scostò la tendina della finestra e vide una donna che chiedeva l’elemosina sui gradini della chiesa: la gente passava distratta e nessuno si accorgeva di lei. Il rabbino, allora, rispose al giovane: «Stai tranquillo, non è ancora venuto». Questa storia, questo dialogo fra un candidato al battesimo cristiano e un rabbino, illustra purtroppo in un modo triste, che «la speranza non è solo il dono più grande», – abbiamo detto Cristo – «ma la speranza è anche l’appello più grande»[7]. E questo significa, che la Chiesa – il popolo cristiano in cammino per la storia – è chiamata dal Signore per diventare un grande sacramento di speranza per l’umanità.

L’enciclica Spes salvi di Papa Benedetto XVI, con cui il pontefice ha voluto guardare in faccia la crisi di speranza in cui è caduta l’Europa[8] ci richiama proprio il dovere fondamentale dei cristiani: comunicare e praticare il Vangelo, diventando testimoni veritieri del Cristo, speranza del mondo. «Ogni volta quando mettiamo una parola buona dove ce n’è una cattiva; un gesto della misericordia dove ci sono gesti di vendetta; un sentimento di pietà dove ci sono sentimenti di rivalità; ogni volta che noi consoliamo un bambino; ogni volta che manifestiamo attenzione per un bisognoso; ogni volta che mettiamo la nostra capacità professionale al servizio del più debole… diamo in nostro contributo affinché il mondo diventi luminoso. Dal nostro operare può scaturire quindi la speranza per noi e per gli altri»[9].

3. La preghiera è la speranza in azione

Nel libro intitolato C’è ancora speranza, ho trovato questa storia raccontata da padre Bernhard Häring, redentorista che ha insegnato nell’Accademia Alfonsiana: «Quando, dopo la battaglia di Stalingrado, con uno sforzo inaudito per sfuggire alla prigionia, giunsi con solo 16 uomini, gravemente feriti e ammalati, alla casa di una povera famiglia russa, fummo accolti con la cordialità con cui avrebbero accolto Cristo stesso. Ci ospitarono nonostante i gravi pericoli che correvano nel farlo, in quanto la strada principale sulla quale l’armata russa andava avanti e indietro era molto vicina alla casa. Ci sfamarono e ci curarono nella notte. Quello era il linguaggio secolare più bello su Dio, anche se il suo nome non è mai stato menzionato. Prima di andarcene, chiesi che cosa li avesse spinti a dare una simile coraggiosa manifestazione d’amore a nemici della loro patria. La madre del capofamiglia rispose con la più grande semplicità: “Abbiamo quattro dei nostri figli nell’armata rossa e ogni giorno preghiamo Dio di riportarli a casa sani e salvi. Come avremmo potuto continuare la nostra preghiera, se oggi avessimo dimenticato che le vostre madri, i vostri padri e i vostri amici stanno pregando lo stesso Dio per la stessa cosa?”». «Questa è la preghiera della speranza in azione» – spiega Häring e aggiunge: «Le formule di preghiera o meglio ancora le “preghiere” che non portano frutto per la vita del mondo non sono veramente “speranza alla sua sorgente”; sono piuttosto espressioni della religione fatta dall’uomo. In modo simile, l’azione che non rafforza la consapevolezza della presenza di Dio nel mondo, non è speranza che scaturisce dalla sua sorgente»[10].

E padre Häring, grande insegnante della teologia morale – molti oggi concordano sul fatto che Häring sia il teologo più apprezzato per il rinnovamento della morale nel XX secolo – conclude questa storia dicendo: «La preghiera è la speranza in azione, perché la preghiera è la speranza alla sorgente di tutte le azioni creative e redentrici»[11].

Quando ci rivolgiamo totalmente a Dio portiamo la speranza più vicina al mondo. Con la nostra preghiera siamo trasformati in uno strumento di speranza nelle mani di Gesù, che tutti abbiamo ricevuto e abbracciato. E nella forza che proviene dalla preghiera possiamo dare al mondo la speranza di cui ne ha tanto bisogno.

prof. K. Bielinski, CSsR


[1] R. Cantalamessa, «La porta della speranza», Seconda predica di Avvento 2022 tenuta il 9 dicembre 2022 nell’Aula Paolo VI, in http://www.cantalamessa.org/?p=4046

[2] G. De Virgilio, «Il cammino della speranza nel Nuovo Testamento», in L.M. Epicoco (a cura di), Futuro Presente. Contributi sull’Enciclica Spe salvi di Benedetto XVI, Tau Editrice, Todi 2009, 103-142, qui 115.

[3] B. Häring, C’è ancora speranza, Edizioni Paoline, Milano 1971, 32.

[4] Benedetto XVI, Spe salvi, no. 5.

[5] M.G. Masciarelli, «Una teologia della speranza a partire dalla Spe salvi», in L.M. Epicoco (a cura di), Futuro Presente. Contributi sull’Enciclica Spe salvi di Benedetto XVI, Tau Editrice, Todi 2009, 55-85, qui 60.61.

[6] A. Amato, «La speranza: utopia o progetto? La proposta di Benedetto XVI nell’Enciclica Spe salvi», in L.M. Epicoco (a cura di), Futuro Presente. Contributi sull’Enciclica Spe salvi di Benedetto XVI, Tau Editrice, Todi 2009, 1-17, qui 17.

[7] B. Häring, C’è ancora speranza, 31.

[8] Cf. M.G. Masciarelli, «Una teologia della speranza a partire dalla Spe salvi», 58.

[9] A. Spina, «Per una pastorale della speranza: una riflessione sula seconda parte dell’Enciclica Spe salvi», in L.M. Epicoco (a cura di), Futuro Presente. Contributi sull’Enciclica Spe salvi di Benedetto XVI, Tau Editrice, Todi 2009, 41-53, qui 45.

[10] B. Häring, C’è ancora speranza, 235-236.

[11] B. Häring, C’è ancora speranza, 233.

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