Davide e Betsabea: un eros travolgente

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Raccogliendo una provocazione di papa Francesco, secondo il quale, «il giorno di San Valentino, in alcuni Paesi è sfruttato meglio dai commercianti che non dalla creatività dei pastori» (Amoris laetitia, n. 208), nella ricorrenza del Patrono degli innamorati, abbiamo dato avvio a una serie di 4 post dedicati al tema dell’amore (questo è il secondo), ringraziando Roberto Massaro per la disponibilità a collaborare. Egli è professore di teologia morale e bioetica presso la Facoltà Teologica Pugliese, e amico dell’Accademia Alfonsiana dove ha conseguito il dottorato con una tesi sull’etica della cura (Collana Tesi Alfonsiane). Sul tema qui affrontato, ha pubblicato Si può vivere senza eros? La dimensione erotica dell’agire cristiano (EMP 2021).

Nel nostro breve itinerario non potevamo tralasciare una figura titanica dell’Antico Testamento. Musicista, poeta, valoroso condottiero, profeta, re d’Israele, Davide è un uomo dai mille volti, la cui importanza è facilmente deducibile dal fatto che le sue gesta vengono riportate in più libri. «Era fulvo, con begli occhi e bello d’aspetto» (1Sam 16,12): così appare al profeta Samuele, giunto a Betlemme nella casa di Iesse per ungere il nuovo re d’Israele, scelto dal Signore al posto di Saul. Un’annotazione per nulla indifferente al prosieguo del racconto: basterà poco perché Davide conquisti i cuori di molti alla corte di Saul, non solo per le sue doti musicali e militari, ma anche per il suo fascino e la sua bellezza.

Della sua lunga e travagliata storia – il suo regno su Israele durerà quarant’anni – scegliamo di riferirci a due episodi in particolare – che tratteremo in due post separati –, il cui pathos erotico raggiunge vette altissime.

Una spirale di peccato

Uno degli episodi più celebri della vita di Davide, raccontato nei capitoli 11 e 12 del Secondo libro di Samuele, riguarda il suo peccato di adulterio con Betsabea, moglie di Uria l’Ittita. Travolto dall’eros, il re d’Israele non solo giace con una donna sposata, ma, per coprire il suo errore, ne commette uno ancora più grande, facendo di tutto per porre fine alla vita di Uria e mantenere (apparentemente) saldo il suo onore.

Ciò che colpisce della narrazione è l’abbondanza di particolari, tutt’altro che superflui, che accompagnano la descrizione della scena e che attribuiscono a Davide, oltre all’adulterio, una serie di comportamenti spregiudicati e delittuosi. Il capitolo, infatti, si apre con un’annotazione carica di ironia: «Al tempo in cui i re sono soliti andare in guerra, Davide mandò Ioab» (2Sam 11,1). È come se l’autore sacro svelasse già nell’incipit un’anomalia del comportamento di Davide, che ci viene presentato non solo come un “uomo cattivo”, ma anche come un “re inadempiente”. Gli altri re sono in guerra, lui, invece, manda i suoi uomini. È vero che la possibilità di rimanere a palazzo e inviare solo i soldati in guerra non era un comportamento del tutto inusuale. È, però, altamente disdicevole che, mentre il suo esercito è in guerra, Davide, nel tardo pomeriggio, sia ancora a letto a oziare, non curandosi dei problemi della sua gente: il re sta dando più attenzione ai suoi piaceri personali che al suo ruolo di governante!  Il fatto, poi, che Davide commetta adulterio con la moglie di uno dei suoi soldati rende l’episodio ancor più scabroso, così come l’annotazione che Betsabea «si era appena purificata dalla sua impurità» (2Sam 11,4) aggrava il peccato e l’impurità del re d’Israele.

Prima di questo episodio, la Scrittura ci riporta che Davide aveva sette mogli quando era in Ebron (cf. 2Sam 3,2-5.13-16) e che, stabilendosi a Gerusalemme, «prese ancora concubine e mogli» (2Sam 5,13). Di certo il re non si sentiva solo e non aveva bisogno di una compagna di vita, visto il suo nutrito harem. È stato, piuttosto, l’avido desiderio di potere, di aggiungere un ulteriore trofeo ai suoi già numerosi successi, a spingere Davide a possedere una donna giovane e attraente. Un’inutile prova di forza da parte di chi – come più tardi gli rinfaccerà il profeta Natan (cf. 2Sam 12) – aveva già ricevuto già tutto da Dio.

Nel post precedente, guardando al Cantico dei Cantici, abbiamo cercato di mostrare la bontà di eros, ma non sempre la sua straordinaria energia porta l’uomo a compiere il bene. La Scrittura, infatti, ci riporta anche episodi di un eros incontrollato che conduce al peccato e la caduta di Davide con Betsabea ne è, forse, l’esempio più lampante. Il più illustre dei re di Israele crolla perché non sa gestire le passioni che albergano nel suo cuore.

L’eros dannoso: l’idolatria dell’io

Un’attenta esegesi del brano ci fa comprendere chiaramente che tipo di eros sia dannoso per l’uomo. Ciò che, inizialmente, ha spinto Davide verso Betsabea non è stato il desiderio di incontro e di comunione con la moglie di Uria, ma il bisogno di esercitare una forma di potere perverso per dimostrare (anzitutto a se stesso e poi agli altri) di essere superiore e di poter sovrastare l’altro, possedendolo. Non possiamo tralasciare un aspetto davvero eloquente: in ebraico i verbi hanno una forma maschile e femminile e qui il soggetto del verbo šākab è solo Davide («Egli giacque con lei» 2Sam 11,4). È lui che compie l’azione. Betsabea la subisce.

Questa forma di eros è condannata aspramente in quanto espressione di ripiegamento su se stessi, di idolatria dell’io, più che di apertura verso l’altro. E quando si idolatra il proprio sé, ci si espone a un vortice di male e di peccato. Conosciamo gli effetti nefasti che comporterà nella vita dello stesso Davide (cf. 2Sam 12). Sappiamo bene, però, che sarà anche questo errore a consentire un cambio di rotta nella vita del re d’Israele e proprio dalla seconda unione con Betsabea nascerà un re saggio, capace di chiedere a Dio un «cuore che ascolta» (cf. 1Re 3,9).

Roberto Massaro

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