Fare o fondare la bioetica globale? 3 – Metabioetica: le ragioni di essere uomo, vita ed etica
Kowalski / 31 Gennaio 2020

    G. Harrison – utilizzando la metafora del “villaggio globale” di McLuhan – parla della contestualizzazione del “fare bioetica” all’interno della società pluralistica, dove potrebbero sorgere conflitti sul modo in cui i progressi nel campo biomedico potrebbero o dovrebbero essere applicati (G. Harrison, È la bioetica universale, tanto al Nord quanto al Sud del mondo?, 1994). Conflitti possono sorgere dalle differenze tra dottrine religiose, filosofiche o etiche, tra convinzioni culturali e assunzioni di fondo che riguardano la vita umana oppure tra i vari metodi che si usano per risolvere i conflitti di valore. Conflitti di questo tipo si possono risolvere o almeno si può tentare di risolverli con una visione globale e unificata dell’uomo, dell’etica, della vita e anche della medicina; una visione che connetta i principi tra loro in modo armonioso e integrato (con il principio di non contraddizione formale e pragmatica), evitando la conflittualità tra i principi stessi, oppure solamente evitandoli. Si evitano appunto i conflitti di valore nel “fare bioetica” quando si tenta di fondarla su una falsa omogeneizzazione di opposti interrogativi, spostando le frontiere assiologiche ed epistemologiche tra la natura e l’uomo, tra la scienza e l’etica, tra la biologia e l’antropologia. Il “fare bioetica”…