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Attività Culturali

Commissione Attività Culturali
Convegno
Le sfide della famiglia oggi
18-19 marzo 2015

Di fronte a un pubblico numeroso e attento, nei giorni 18-19 marzo 2015 si è tenuto all’Accademia Alfonsiana un Convegno di studi dal titolo «Le sfide della famiglia oggi». L’evento, organizzato dalla Commissione per le Attività Culturali dell’Accademia, è stato pensato nell’intervallo di riflessione fra il Sinodo straordinario del 2014 e quello ordinario di quest’anno su «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo» (4-25 ottobre 2015). «Invenzione di Dio», come ha sottolineato nel suo saluto il Preside dell’Accademia, il prof. Andrzej S. Wodka, la famiglia può anche rappresentare il luogo dove si soffre, a causa di numerose sfide che esigono vari passaggi di crescita e di integrazione nell’amore.

Il prof. Stefano Zamboni, dell’Accademia Alfonsiana, ha aperto i due giorni del Convegno richiamando le parole del n. 2 della Relatio approvata al termine del Sinodo straordinario dello scorso ottobre: «Grembo di gioie e di prove, di affetti profondi e di relazioni a volte ferite, la famiglia è veramente “scuola di umanità”, di cui si avverte fortemente il bisogno. Nonostante i tanti segnali di crisi dell’istituto familiare nei vari contesti del “villaggio globale”, il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in umanità e fedele alla sua missione, ad annunciare senza sosta e con convinzione profonda il “Vangelo della famiglia”».
Del Sinodo che si è tenuto a ottobre, il prof. Zamboni ha sottolineato due elementi di particolare interesse. Il primo è l’attesa che ha accompagnato i lavori sinodali. In essa non si deve leggere solo una superficiale curiosità, magari suscitata ad arte dai media. La si deve intendere piuttosto come segno del fatto che il tema della famiglia tocca davvero il cuore della realtà e della coscienza ecclesiale. Il secondo elemento è il clima che si è percepito, almeno dall’esterno. Lo si può riassumere con il termine utilizzato dal Papa nel breve discorso di apertura: parresia. Parresia è la libertà di parola, ma non semplicemente nel senso del diritto moderno: è coraggio, franchezza che deriva da un’intima convinzione di fede. Questa fede, questa percezione che si stesse discutendo per il bene della Chiesa, è emerso con forza dai lavori del Sinodo.

Proprio alla rilettura dei «nodi principali del Sinodo sulla famiglia» è stata dedicata la prima sessione del Convegno (18 marzo). In essa sono intervenuti due relatori che hanno partecipato al Sinodo con diversi ruoli e hanno offerto le loro riflessioni teologiche e la testimonianza viva dell’evento sinodale.

Il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, ha tenuto la relazione inaugurale dal titolo «Una lettura del Sinodo sulla famiglia». Ha esordito ricordando le parole del Papa alla televisione messicana Televisa: «Il sinodo sulla famiglia non l’ho voluto io. Lo ha voluto il Signore. (…) E lo ha voluto con forza. Perché la famiglia è in crisi».
Dell’evento sinodale sono state date molte e discordanti letture: alcuni lo hanno letto in termini provvidenziali, altri sono stati spaventati dal rischio di una attenuazione della teologia del matrimonio. Compito della relazione, ha chiarito il cardinale, non era di entrare nel dibattito, ma di offrire una lettura di come il sinodo è stato portato avanti, in quel camminare insieme che è lo specifico dell’evento ecclesiale.
Il cardinal Baldisseri si è soffermato dapprima sulla preparazione all’assemblea sinodale, con il coinvolgimento capillare delle chiese locali e ha poi illustrato il modo con cui si è condotto il dibattito in aula, con gli interventi dei padri sinodali nella prima settimana e i lavori dei circuli minores nella seconda.
Particolare enfasi il relatore ha dedicato sia al rinnovo delle procedure, per un maggiore coinvolgimento dei padri sinodali, sia al modo in cui è stata gestita l’informazione, per garantire la libertà di tutti i padri sinodali.
E proprio alla libertà ha accennato papa Francesco ancora nella sua intervista a Televisa: «Un Sinodo senza libertà non è un Sinodo. È una conferenza. Invece il Sinodo è uno spazio protetto nel quale possa operare lo Spirito Santo. E per questo le persone devono essere libere».
Il cardinal Baldisseri ha concluso augurandosi che il Convegno dell’Alfonsiana possa essere strumento di approfondimento e di stimolo per i padri sinodali.

La seconda relazione della mattinata è stata tenuta da p. Sabatino Majorano, professore emerito presso l’Accademia Alfonsiana. «Il mio intervento – ha detto il relatore – mira a focalizzare le molteplici e complesse problematiche morali emergenti nel cammino sinodale che stiamo compiendo. Pur riguardando direttamente la vita familiare, hanno un carattere più ampio, toccando punti nevralgici della riflessione teologico-morale. È in questa prospettiva che vanno le mie riflessioni: non si limitano a una semplice recensione dei problemi, ma tendono a sottolineare il significato che il cammino sinodale può rivestire per la teologia morale».
In questa prospettiva, il relatore si è chiesto anzitutto cosa significhi la sinodalità per la riflessione morale, mostrandone lo stretto legame con l’ecclesiologia della Lumen Gentium. In secondo luogo ha evidenziato come il Sinodo abbia privilegiato il riferimento alla Gaudium et spes, ponendosi per così dire dall’angolazione dei più deboli. Infine ha riflettuto sulle problematiche morali sacramentali, ricordando l’atteggiamento di sant’Alfonso, che nel contesto della polemica determinata dal rigorismo nella pastorale sacramentale, si opponeva all’idea di considerare l’eucaristia come «premio» per perfetti. In tale ottica, il prof. Majorano ha sottolineato la preoccupazione del Sinodo per una interpretazione della disciplina sacramentale in prospettiva medicinale, proponendo anche una concreta modalità di evoluzione in questa linea.
Il giubileo straordinario sulla misericordia, annunciato recentemente da papa Francesco, è occasione propizia per «rendere più evidente la missione della Chiesa di essere testimone della misericordia».

La seconda sessione del Convegno, tenutasi nel pomeriggio del 18 marzo, ha inteso indagare «La società e il modello di famiglia». È stato uno sguardo su come l’essere famiglia è vissuto oggi, su quali siano i modelli e gli ideali diffusi, e su come essi sono veicolati nei mezzi di comunicazione sociale.

È intervenuto anzitutto il prof. Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari e direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia.
La sua è stata una riflessione sull’identità antropologica della famiglia: Esiste un genoma familiare? Ci sono qualità intrinseche della famiglia? La risposta, data in un brillante intervento, è che vi sono sostanzialmente quattro qualità irrinunciabili della famiglia. Anzitutto, la famiglia è il luogo di valorizzazione e di riconoscimento delle differenze individuali, e in particolare delle distinzioni di genere (maschile e femminile) e delle relazioni tra le diverse generazioni. In secondo luogo, la famiglia non è un fatto solo privato (libera scelta di individui), ma è un comportamento e una condizione socialmente rilevante, “pubblico”, dal momento che ridefinisce l’identità della singola persona e la sua relazione con il contesto sociale. In terzo luogo, la famiglia vive di codici e di valori multidimensionali, ma centrale è la logica della reciprocità, del legame buono, del dono. Infine, la famiglia è ambito educativo primario e insostituibile, a partire dalla nascita e per tutto il ciclo di vita delle persone (socializzazione, “sopravvivenza” individuale e di gruppo, valori, stili di vita, priorità etiche, modelli antropologici).
A partire da queste quattro caratteristiche di base, il relatore ha poi riflettuto sulla famiglia come soggetto sociale, offrendo infine una sorta di mappa delle circostanze esistenziali entro cui la famiglia si deve progettare: reddito, casa, relazioni, cura, valori. In conclusione, costruire una famiglia significa scommettere sul compimento della libertà delle persone coinvolte, che diventa fonte di vita per il bene della società.

Il prof. Marek Kotyński, della Pontificia facoltà teologica di Varsavia, ha offerto un’originale relazione su «Il Vangelo della famiglia nel cinema contemporaneo».
Se è vero, come affermava Paolo VI, che il dramma della nostra epoca è la frattura fra Vangelo e cultura, si può recuperare un canale di comunicazione con l’uomo contemporaneo attraverso il cinema. Esso infatti rappresenta uno specchio della realtà, una chiave di lettura per decifrare i fenomeni, le emozioni, le relazioni che sperimentiamo. Il cinema può diventare persino un vero e proprio locus theologicus.
Il cinema contemporaneo non parla più dei valori familiari come faceva nel secolo scorso. Questo non significa però che non affronti il tema della famiglia. Anzi: proprio quando adotta uno sguardo critico, decostruttivo, mettendo in luce le contraddizioni latenti nel nucleo famigliare, il cinema conferma il valore fondamentale della famiglia. Centro dell’interesse dei media sono i rapporti interpersonali, quelle relazioni che svelano spesso un valore «sacro». È vero che oggi molto film propagano modelli alternativi a quello della famiglia cristiana, ma esprimono – sub contrario – un bisogno disperato di relazioni autentiche.
Questa tesi di fondo è stata illustrata dal prof. Kotyński con l’ausilio di alcuni spezzoni di film: Locke, la storia di un uomo che si assume la responsabilità di un figlio avuto da una relazione passeggera; Quattro soli, ritratto di un uomo debole, senza qualità, che nel momento del massimo fallimento intona l’Ave verum appreso da bambino; Shame, racconto di un uomo dipendente dal sesso, che si risveglia alla vita e alla cura solo quando la sorella, l’unica persona che ama veramente, tenta il sudicio.
Il Vangelo della famiglia è accolto dal cinema contemporaneo con il linguaggio ad esso proprio. È il linguaggio di un vuoto, di un’invocazione, di una struggente nostalgia dei valori che edificano le relazioni familiari.

La terza sessione del Convegno, tenuta la mattina di giovedì 19 marzo, aveva per tema «La pastorale della famiglia»: quali sono le difficoltà e le sfide di chi annuncia il Vangelo della famiglia nell’attuale contesto sociale e ecclesiale?

Al prof. Silvano Sirboni, docente di liturgia e parroco nella diocesi di Alessandria, è stata affidata una riflessione intitolata «La pastorale della famiglia: fra ideale evangelico e fragilità umana». Se è vero che la nostra felicità ci viene da relazioni vere e profonde, è vero anche, paradossalmente, che proprio le relazioni di maggiore prossimità sono quelle più problematiche.
Il prof. Sirboni è partito richiamando la celebrazione liturgica: essa è celebrazione del «già» e del «non ancora» e il matrimonio celebrato è inizio di una realtà che va fatta risuonare nella vita. L’ideale evangelico è però spesso ferito fin dalla celebrazione liturgica, che esprime un gap di carattere pastorale: quale fede sottende infatti la richiesta di celebrazione di battezzati che non hanno mai creduto o che hanno cessato di credere? Si potrebbe dire che molti matrimoni hanno luogo in chiesa ma non nella Chiesa.
A partire da questo dato di fatto, occorre saper ascoltare e dialogare con la fragilità. In modo particolare emerge la problematica dei divorziati risposati, verso cui andrebbe ripensata in modo creativo la complessa tradizione penitenziale occidentale, in uno sforzo di costante ascolto e interpretazione della parola di Dio. La pastorale della Chiesa – ha concluso il relatore – è chiamata a dare risposte evangeliche, e quindi umane.

Il rapporto fra il matrimonio e la questione della fede, su cui ha riflettuto il prof. Nicola Reali, docente all’Istituto Redemptor hominis della Lateranense, è assai problematico. Infatti da un lato, trattandosi di un sacramento, la relazione deve essere molto stretta. Dall’altro, l’attuale disciplina canonica non considera essenziale il ruolo della fede per la celebrazione di un matrimonio valido. Ci troviamo così dinnanzi a un paradosso, dal momento che le condizioni di accesso al sacramento sono minimali, ma poi si dà una lettura in chiave massimale del legame che si è venuto a creare tra gli sposi: minimalismo giuridico e massimalismo ontologico, potremmo dire.
La relazione ha inteso partire dalle contraddizioni della prassi attuale, che identificano il matrimonio come contratto e il matrimonio come sacramento. La tesi del relatore è che la riscoperta del rapporto fra fede e sacramento non deve partire dal piano teologico, ma va ripensato sul piano pastorale.
In base a questo approccio vanno considerati almeno due aspetti. Il primo è il superamento dello sguardo negativo sulla realtà attuale, spesso sotteso alla proposta del matrimonio cristiano. Il mondo, su cui si getta un giudizio di condanna, non va visto come obiezione ma come condizione dell’annuncio del Vangelo. Il secondo aspetto è la difficoltà di comunicazione. Oggi è sempre più difficile parlare del Vangelo della famiglia, perché non conosciamo più il senso delle parole che usiamo. La Chiesa subisce i danni maggiori della crisi comunicativa attuale, del caleidoscopio linguistico contemporaneo.
La pastorale della Chiesa deve sapersi muovere, in modo intelligente e creativo, fra minimalismo e massimalismo, per riproporre la buona notizia del matrimonio celebrato nel Signore.

Nella quarta e ultima sessione, infine, ci si è chiesto come annunciare il «Vangelo della famiglia», con uno sguardo privilegiato all’educazione dei giovani e nell’ascolto di alcune coppie che hanno sperimentato nella loro esistenza la sfida e l’appello del Vangelo della famiglia.

A suor Roberta Vinerba, docente di teologia morale all’Istituto Teologico di Assisi, è toccato il compito di presentare l’atteggiamento dei giovani di fronte alla sfida del matrimonio e della famiglia. Dire che il matrimonio è una sfida significa dire che esso chiama a una competizione, implica una decisione, una rottura rispetto all’adolescenza, che è il luogo in cui si percepisce la vita come un continuum. Tale rottura è per l’appunto quella di una scelta di vita irreversibile, che costituisce una nuova identità.
Ma precisamente questa è la difficoltà dei giovani: assumere consapevolmente una identità, uscire dai diversi «ruoli» che si possono assumere. Emblematico è il fatto che i giovani, per parlare delle loro relazioni affettive, parlino di «storie»: considerano la propria vita come insieme di storie, senza una biografia, una identità.
Eppure, questa stabile precarizzazione esistenziale è sfidata dall’idea del matrimonio, dal fascino di legare la propria libertà in modo permanente a qualcuno. Proprio su questo fascino che esercita ancora la proposta del matrimonio bisogna puntare, facendo intravedere la possibilità che vi sia un compimento di vita nel dono di sé all’altro. Per questo occorre superare l’indifferenza esistenziale, riaccendere il coraggio della sfida, proporre la verità del matrimonio attraverso la sua bellezza.

Il prof. Andrzej S. Wodka, preside dell’Accademia Alfonsiana, ha sottolineato il carattere testimoniale dell’ultimo momento del Convegno, che è stato a più voci. Prendendo a prestito la canzone di Arisa, in cui si dice: «sono qui per ascoltare un sogno», si può dire che il sogno da ascoltare è quello della famiglia, anzi del Vangelo della famiglia. Un sogno che diventa visibile nelle esistenze vissute, che sono «solo l’ombra della Luce» (Battiato), se per quest’ultima si intende il Sacramentum magnum, il mistero sponsale che unisce Dio e l’umanità in Cristo, sposo della Chiesa (cf. Ef 5,32).
Questo «sogno» si dice però sempre nelle fragilità umane, persino nei fallimenti che sembrano insormontabili. È il senso della testimonianza di Claudia e Andrea, del movimento Retrouvaille. Attraverso la loro storia, che ha dovuto affrontare e ricucire un legame spezzato, è apparso chiaro che amare è una decisione e che la decisione di amare è la stessa della decisione di perdonare. Attraverso un amore voluto e il perdono accordato è stato possibile riannodare i fili di un matrimonio vissuto nel Signore.
La testimonianza di Letizia e Luca, del movimento Famiglie nuove, è partita dal suggerimento di Chiara Lubich: considerare Gesù come modello dell’educatore. Da qui l’esigenza di una famiglia aperta all’accoglienza, di una famiglia che sappia ascoltare, di una famiglia che coltivi reti di relazione con altre famiglie. E anche di una famiglia che affronti con fede le difficoltà e le sofferenze, riconoscendo in esse la presenza del Crocifisso che consegna se stesso all’amore del Padre.

Il prof. Martin McKeever, dell’Accademia Alfonsiana, ha brevemente concluso il convegno, evidenziando come ci sia stata offerta l’opportunità, in quanto istituzione accademica, di partecipare al processo di dialogo e approfondimento iniziato dal Sinodo. Toccherà poi alle famiglie affrontare da protagoniste le sfide a cui sono chiamate, evitando la tentazione di cadere negli eccessi opposti, già denunciati da Bonhoeffer, del compromesso mondano e del radicalismo intransigente.

Prof. Stefano Zamboni, SCJ